domenica 23 gennaio 2011

Eppure sei ancora vivo

Love Alexander Mc Queen...


Vorrei inaugurare questo post con un elogio, anzi  purtroppo con un necrologio. 

Lee Alexander McQueen, chi era costui?
Fondamentalmente un pazzo. Più elegantemente, dato che di eleganza si parla, un eccentrico, provocatorio, visionario. Un alieno, un rivoluzionario. Un genio. Uno che ha lasciato la scuola a 16 anni per entrare nel mondo del costume teatrale e che non vi è mai uscito. Nemmeno quando ha preso le redini di Givenchy, nemmeno quando ha iniziato ad essere il Re delle Fashion Week di tutto il mondo. Nemmeno l’11 febbraio, quando è stato trovato impiccato nella sua casa di Londra. Non morto con un cocktail di farmaci (che parrebbe essere familiare allo stilista, almeno anni prima, dopo la morte dell’amica giornalista Isy Bowl). Impiccato. Perchè ancora una volta, i messaggi, forti, estremi, vanno messi in scena.
Alexander McQueen era un artista che ha usato la moda per dichiarare la sua libertà dai vincoli del conformismo, dalle leggi del mercato, dall’omogenea banalità. Ha mostrato che i fashion victims sono solo vittime e che la moda è un’altra cosa. O può essere un’altra cosa. E non si pensi all’altrettanto “banale” (o comunque inflazionato) messaggio di bellezza e femminilità. McQueen con le sue sfilate raccontava storie. Ma non narrava fiabe con una morale o lanciava messaggi come in un film.


McQueen inscenava atmosfere. E voleva dimostrare che l’immaginazione è una capacità straordinaria soprattutto quando è realizzata senza che venga incastrata nello schema del reale. E’ l’unico, o uno dei pochi (Victor&Rolf sono su un’ottima strada, ma con un clima diverso). V&R stanno ai cartony disney come McQ sta ai film d’animazione di Tim Burton, per come la vedo io.  Ha fatto della moda, non le 12 tavole di come dovrai vestirti tra due mesi per non essere un pezzente, nè quello che ti dirà come si vestiranno le star ai Golden Globe. Un capo McQ non si indossa e basta. E’ inserito in una trama precisa, incantata e surreale di cui si può far parte solo se si è in grado di  vederla.


Un fauno cantastorie, un imprevedibile elemento (esce in passerella, dopo una delle sue sfilate più serie e discrete, completamente vestito da coniglio peloso), a metà tra gioco e amarezza, tra sogni e realtà, tra favole e thriller. Uno stregone, un ipnotizzatore, un giocoliere. Un cabarettista vintage, un precursore di quello che verrà. Ma una cosa ci eravamo dimenticati, e accorgersene l’11 febbraio è stato uno shock.


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